Margherita

Col fatto che ridendo e scherzando sono già passati 30 anni e più, non è che mi ricordi proprio tutto tutto. Mi ricordo che subito a Gressoney ci fu un disguido: con le macchine saltammo di un paio di chilometri la partenza del primo spezzone di seggiovia che dovevamo prendere e Gino ci convinse che non conveniva tornare indietro, così andammo a piedi alla partenza del secondo tratto. Gino portava un collare perchè era caduto da un albero dove stava lavorando. In teoria avrebbe dovuto fermarsi alla capanna Gnifetti, ma tutti ci aspettavamo di ritrovarcelo in cordata per la punta Gnifetti, m.4550 s.l.m., fiore all’occhiello dell’annata per noi che non eravamo alpinisti della domenica, peggio, eravamo alpinisti del ferragosto. Non tutti: Romano e alcuni amici che si era portato frequentavano il CAI. Loro avevano in programma di salire alla Zumstein. Ma io non avevo mai salito un 4.000. La notte in cui i miei genitori salirono al Gran Paradiso ero rimasto in tenda a dormire. A 16 anni chi vuol fare le stesse cose dei genitori?

Ad ogni modo, nel primo pomeriggio eravamo alla capanna Gnifetti, a circa 3.800 m di altitudine. E fu l’altitudine a decidere chi doveva salire oltre. I sintomi del male di montagna cominciarono a manifestarsi in quasi tutti noi, chi più, chi meno. Gino stava benissimo. Elide, sua figlia, era quella che stava peggio di tutti, me la ricordo piegata in due su una sedia dentro il rifugio. Io tutto sommato limitai i danni a qualche capogiro. Rimandammo qualsiasi decisione alle tre della notte. Dopo aver mangiato il minestrone del rifugio, che essendo un luogo di nutrita affluenza era organizzato come un self service, andammo a dormire in uno stanzone con 48 posti letto, tutti occupati. Alle 22 luce spenta e zitti.

Alle tre del mattino, sveglia. Nella borraccia il te caldo del rifugio. Si fa la conta. Elide non ce la fa. Gino rimane con lei. Mario ed Elena, la figlia di Romano, non salgono. Decidiamo di partire io, mio cugino Graziano, Lucia, Sergio e un amico di Romano. Il piazzale del rifugio è gremito di cordate, sembra un ingorgo a un casello autostradale, bisogna stare attenti a non pestare con i ramponi la corda di qualcun altro. Legati, ramponati e di piccozza muniti, partiamo prima che il sole venga a sciogliere i crepacci. Il ghiacciaio parte ripido e lo rimane per due ore, sembra sempre che debba scollinare dopo venti metri, ma è un effetto ottico, in realtà è una gradinata di cui non si vede la fine. Saliamo costeggiando quelle che sembrano collinette e che sono in realtà vette superiori ai quattromila metri (mi ricordo solo la Piramide Vincent). Poi, si arriva al colle del Lys.

Il colle del Lys è come un immenso piazzale innevato coronato tutto intorno dalle vette del Rosa e del Lyskamm. Un paesaggio come se ne vedono pochi, completato da un cielo perfettamente sereno. Qui le cordate si dividono, ognuna va verso la propria meta, noi finalmente vediamo la nostra. E lassù ad aspettarci c’è la capanna Margherita.

Prendiamo verso destra per risalire una cresta al termine della quale c’è l’ultimo tratto verso la vetta, un sentiero obliquo che taglia di traverso una ripida lingua di ghiaccio. Qui ci accoglie un vento fortissimo e gelido. Io ho la giacca a vento aperta e la macchina fotografica a tracolla. Dovrei mettere via questa e chiudere quella, ma non ce la faccio, ho paura che se lasciassi la piccozza il vento mi farebbe perdere l’equilibrio. Continuo maledicendo me stesso e il mio pressappochismo, il vento mi frusta con violenza. Poi, finalmente, gli scarponi sulla roccia e una scaletta metallica. Sono all’ingresso della capanna Margherita. Entro e scoppio a piangere. Gli altri ragazzi mi rincuorano, pur ricordandomi che in montagna sarebbe meglio non andarsele a cercare.

Non ci fermiamo tanto alla capanna, il tempo per fare qualche foto e poi si torna a scendere. Da veri alpinisti da strapazzo verso la fine della discesa togliamo pure la corda, nonostante sia mezzogiorno e il sole faccia il suo mestiere sciogliendo i crepacci.

Tutto questo è successo trent’anni fa, dicevo. In seguito ho salito altre vette, spesso con Gino, ma quella è rimasta la più alta. Sono rimasto un alpinista ferragostano, oggi probabilmente non sono più nemmeno quello, ho uno stile di vita più che sedentario e le sporadiche escursioni più recenti mi hanno visto arrancare faticosamente. Dice mia moglie che camminare mi farebbe bene. Eh, lo so che ha ragione.

FUTURA MONTE SAN PIETRO

L'8 e 9 Giugno Vota FUTURA MONTE SAN PIETRO con Ivano Cavalieri Sindaco

potrebbe anche piovere

la maglia rotta nella rete: letture incrinate, recensioni bislacche, immagini rubate e altre piccole catastrofi naturali. Ma potrebbe andarvi peggio, potrebbe anche piovere

Piove sul bugnato

parole, giochi di parole e altre cose

Idee per la Transizione a Carpi

Cambiare Carpi in un mondo che cambia

Schegge di Liberazione

«la REsistenza, questo essere Re nell’ATTO di esistere» (eNZO)

arancioeblu(2punto0)

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo (Mahatma Gandhi)